La mia gattina

Dopo una giornata di lavoro ho bisogno solo di una cosa: Lei.
Ma non una lei amorevole e coccolona, no, lei, la mia gattina, lei, la mia sottomessa, lei che sa svuotarmi le palle da Dio.

Arrivo a casa e lei mi aspetta, non la calcolo neanche, sa cosa voglio e sa come lo voglio.
Mi segue scodinzolando sensualmente fino alla poltrona cercando di attirare invano la mia attenzione.
Mi tuffo tra la pelle morbida, mentre lei si insinua tra le mie gambe desiderosa di me, desiderosa di fare il suo dovere.

La accarezzo per darle un contentino e poi la lascio fare, mentre piano fa scendere i miei pantaloni lasciando libero il mio cazzo già duro come il marmo.

Mi guarda con i suoi occhi furbi, mi sfida, mi fa pregustare già quello che sta per farmi. A me importa solo che si sbrighi.

Sussulto quando lo sfiora con le sue labbra morbide, è sempre paradisiaca, soffice e pungente come piace a me, come piace a lui.
Se la prende comoda, lasciando che la mia eccitazione salga.
Fa uscire la punta aiutandosi con le mani, per poi leccarla con la sua linguetta, la posa e la ritrae, come se stesse bevendo del latte da una ciotolina.
Mentre ondeggia scodinzolando con quel plug a codina che le ho comprato.
Vorrei mettermi al posto di quel coso e tapparglielo io il culo, sicuramente godrebbe di più, ma qui quello che deve godere sono io, e la sua bocca che lappa il mio cazzo lasciandolo scomparire tra le labbra mi soddisfa abbastanza, per ora.
Arriva quasi a sfiorare le palle, sento il suo respiro su di esse, prima che ricominci la salita allontanandosi.
E poi, un sali e scendi sempre più ritmato fa si che la mia erezione si palesi in tutta la sua grandezza, riempendo la sua bocca.
Mi tenta, lo fa ogni secondo della sua vita ed io non sono fatto per essere tentato.
Le afferro la testa a metà tra le orecchie da gattina che si è messa e la spingo giù ferocemente, se lei può arrivare in basso io posso farcela arrivare meglio. La spingo finché non sento i conati, solo allora allento la presa per farla risalire.
Ma non mi basta, non mi basta di certo.
Aspetto che riprenda fiato e poi la spingo di nuovo giù ad ingoiare interamente il mio cazzo.
Voglio sentire la gola, voglio sentirlo risucchiare giù.
La premo con il mio palmo stretto sui suoi capelli ribelli, e una volta sentito il naso sbattere sulla mia pelle, con le dita dell’altra mano le chiudo l’unica fonte del suo respiro. Soffoca, ma io so bene quando il suo limite può reggere. La saliva cerca di uscire ad ogni conato e solo quando la lascio riprendere fiato la vedo scendere dalla sua bocca e cospargere il mio sesso con i suoi rivoli.
Le tiro i capelli a lato per vedere la sua faccia provata dal mio soffocone, potrei costringerla a replicare ancora ma la voglia si fa sempre più impellente e voglio soddisfarla in altro modo.
Davanti alle sue fauci aperte decido di ricambiare il regalo della sua saliva donandole un po’ della mia.
Lo sputo parte dalle mie labbra fino alla gola accessibile alla mia vista.
-Sali- le ordino poi in un attimo. Le parole che so che aspettava pazientemente di sentire.

Non se lo fa ripetere e con uno scatto felino sale sulla poltrona e su di me.

Allungo una mano nella sua intimità nuda, gia bagnata e gia pronta, la spingo fino a sentire la sua codina, la accarezzo giocandoci e portando la mia micina ad un livello più alto di desiderio.
Percorro ancora ed ancora la strada bagnata fino al giocattolino nel culo, poi la carezza si fa possessione ed assaggio da dentro il posto caldo che ho intenzione di scopare.
Entro con due, no, tre dita e poi le muovo facendola già un po’ mia.

Sento il mio cazzo pulsare dal desiderio, e lasciando perdere il suo piacere, esci e prendendola per i fianchi la accompagno sul mio palo.

Entro forte e deciso, la spingo su di me fino a sentire solo la sua voce spezzata.
Non si muove, gode della mia imponente presenza, si adatta al mio cazzo come un guanto.
Giusto qualche secondo, prima di cominciare a muoversi su di esso, le sue labbra lo sputano e lo rimangiano tutto.
Infilo le mie dita sulla carne dei suoi fianchi, spingendola più a fondo di quello che umanamente può.
Ogni volta che sale poi io la sbatto ferocemente sul mio bacino entrandole sempre più a fondo.
Quando piegandosi mette alla portata delle mie labbra la sua scollatura, affondo il mio volto in quel cuscino morbido.
Le sue tette prosperose attirano la mia bocca che si precipita su uno dei due capezzoli intrappolandolo tra i denti.
Lo mordo, lo strappo, e la puttanella gode ancora di più, non sente dolore, no, solo il suo piacere che non conosce limite.
La consumo dentro e fuori, tanto non si rompe, tanto non scappa, è il mio giocattolino e funziona alla perfezione.
La fotto come se non dovessi farlo mai più, spinte forti si susseguono facendo suonare il suo culo sulle mie cosce come tanti piccoli schiaffi e sono sicuro che le piacerebbe anche quello se potessi.
Prendo l’altro capezzolo tra le dita e lo tiro forte.
Tra le urla del suo piacere le do
un’ultima spinta e la sporco dentro.

Si affretta a trovare qualcosa per uscire da me senza danni, sa che se solo osa sporcarmi passerà molti guai.
Si pulisce, prima di pulire con le sue calde labbra anche la mia erezione che esausta si sta già ritirando.

Mi rilasso sulla poltrona, lasciando che la mia gattina si prenda cura di me, ho decisamente dato, almeno per i prossimi dieci minuti.

Come ultima cosa, prima di dedicarsi ad altro, come sempre china il suo sedere verso di me, aspettando che io le tolga la sua codina, dandole la possibilità di uscire dal suo ruolo.
Afferro il plug e con un po di pressione lascio che il suo culo la espella.

Mi affascina vedere quel buchino allargarsi e ritirarsi, forse dopo ci gioco un po’, ma non con sto coso di silicone. Dopo me l scopo anche lì. Dopo.
Adesso voglio solo rilassarmi con la sua bocca che accarezza ogni centimetro del mio membro, poi se ho voglia me la fotto ancora un po’, o forse lo faccio domani, tanto lei è mia, la mia troietta svuota palle.
Tanto è mia.

Lara © 2018

My pleasure

La sua lingua calda appagava i miei sensi, lappava il mio nettare come fosse la sua droga preferita e ne fosse in astinenza, e forse lo ero davvero, la sua droga.

I miei gemiti tutt’altro che sommessi riecheggiavano nella stanza arricchiti solo dai suoi schiaffi nella mie natiche che mi incoraggiavano a continuare. Continuare a muovermi sul suo volto, continuare ad esprimere in versi quel ritrovato piacere che mi stava donando.

Succhiava il mio clitoride madido di quelle gocce che non smetteva di produrre sotto i suoi movimenti esperti.

Mi inarcavo, cercando una posizione favorevole alla mia esplosione, ma invano.

Era pazzia pura.

Ero incapace di uscirne.

Di nuovo le sue mani ad imprimersi rumorosamente sulla pelle che febbricitante ne chiedeva un tacito “ancora”.

Succhiava avido quello che di diritto era suo aspettando di sporcarsene la bocca intera.

Un soffio improvviso.

Un “sei mia” vibrato dalla bocca alle labbra.

La sensazione decisiva che mi portó al confine.

E lui che tra goduria e grida contrariate continuava a tenermi salda a sé, pronto a condurmi oltre i miei limiti.

Al bar

Una serata come tante, con solo un pizzico di voglia più del solito.
Voglia, voglia di Alcol, voglia di uomo, voglia di voglia.
Dipinsi le mie labbra di un rosso fuoco, quello forte ed accecante della passione, volevo che ogni uomo che mi avesse guardata capisse che sì, avevo voglia di consumarmi, ma ero altrettanto vogliosa di consumare lui.
Il mio vestito bordeaux, i miei capelli legati con un leggero elastico che li lasciava comunque liberi su di una spalla e delle decolletè appena comprate, finivano la presentazione che avrebbe portato la mia figura nella mente di chiunque mi avrebbe guardata.
Ogni uomo avrebbe dovuto desiderarmi, solo allora avrei potuto decidere quale sarebbe stato il fortunato, perché sì, la cosa certa era che ce ne sarebbe stato uno.
Mi sedetti al bancone del bar, mi sistemai elegantemente sullo sgabello che inalzava la mia figura, ordinai un martini e cominciai la mia caccia.
Tutto era fondamentale, come una partita a scacchi, anche la mossa che sembrava la più inutile poteva dimostrarsi decisiva.
Afferrai delicatamente il bicchiere tra pollice e medio, mentre l’indice puntava più in alto, ti indicava dove guardare, ti dava il consiglio giusto, posare il tuo sguardo sui miei occhi, perché se lo avessi posato sulle mie labbra poi saresti entrato in un vortice senza uscita.
Ma l’uomo è stupido e non ascolta i consigli, e fu per quello che sentii all’istante gli sguardi su di me, sul mio movimento lento e sulle labbra rosse che intrappolavano goccia dopo goccia il sidro nella mia gola.
Il bicchiere si allontanò dalle mie labbra e queste ultime lo lasciarono andare come in un addio e come in un addio rimasero leggermente dischiuse per aspettarne invano il ritorno.
Il primo uomo che ebbe il coraggio di avvicinarsi a me non sarebbe stato di certo quello con cui avrei chiuso la serata.
Lo usai per giocare, lo usai per ottenere l’interesse di chi davvero avevo già puntato.
Accettai il suo drink e lasciai che provasse a sedurmi con le sue incantevoli parole, ascoltavo lui ed ascoltavo i richiami del mio corpo che sapeva di aver avvicinato la vera preda.
Sentivo i brividi sulla pelle e la voglia salire in attesa del momento giusto in cui finalmente avei trovato soddisfazione sotto le sue mani.
Quando gentilmente declinai l’invito del poveretto a proseguire la serata a casa sua, sentii nettamente il ragazzo ghignare un sorriso.
Mancava poco, ogni cellula del mio corpo ansimava l’attesa che fuori non si percepiva se non per piccoli gesti languidi e peccaminosi che ogni tanto mi lasciavo sfuggire.
Sentivo le persone andarsene ed il buio della notte entrare piano piano nel locale, le luci si fecero più soffuse ed in poco tempo rimanemmo solo io e lui.
Scolai l’ultimo sorso nel bicchiere invitandolo a fare la propria mossa.
Superò il bancone che ci aveva divisi per tutta la serata e convinto di avere la partita in mano mi chiuse dentro il locale intrappolandomi, senza sapere che quello in gabbia in realtà era lui.
Si avvicinò a me come un predatore mentre i miei grandi occhi nella penombra lo invitavano e lo sfidavano a proseguire.
Arrivò a me azzerando ogni distanza.
Gli stavo prima davanti e poche mosse dopo gli stavo sopra.
Avvinghiata al suo forte corpo mi lasciai trasportare fino ad una lunga tavolata.
Mi adagiò sul tavolo ed io lasciai che i miei vestiti facessero compagnia ai suoi sul pavimento.
Cercava di rendere la cosa romantica lasciando baci casti e peccaminosi sulle mie gambe a salire, ma io non avevo più tempo, ne avevo aspettato fin troppo ed il mio corpo non era in vena di smancerie.
Afferrai il suo volto e lo portai dritto al centro delle mie gambe. Lì, solo lì poteva e doveva dedicare i suoi baci. Afferrava e succhiava tra le mie labbra il risultato di ore di voglia crescente, beveva ogni brivido ed ogni ansimo che uscivano dal mio corpo.
I miei sensi erano completamente ofuscati ed il mio corpo reclamava la sua carne.
Percorse il mio corpo velocemente portando con le sue labbra alle mie il sapore di perversione che avevo addosso come a voler giustificare quello che stava per fare.
Non volevo scuse, non aveva scuse, era venuto il momento di prendermi, doveva farlo e doveva farlo bene.
Chiusi gli occhi, non volevo guardare, volevo sentire, volevo che le sensazioni si impossessassero di me e che lui stesso lo facesse.
Entrò veloce, senza ulteriori preamboli, aveva finalmente capito qual era il gioco che volevo condurre e sentendolo in me non ebbi più dubbi.
Si fermò aspettando che il mio fiato spezzato tornasse regolare poi cominciò a muoversi sopra di me.
Sotto di me l’odore dei tanti uomini che mi avrebbero voluta, sopra di me l’unico che volevo.
Ogni suo movimento richiamava un verso tra le mie labbra.
Parlavo di me, parlavo per lui, parlavo lasciando uscire nel locale vuoto ogni mia più piccola sensazione.
La mia eccitazione non finiva di crescere, cercavo il culmine ma lo vedevo lontano, lo volevo lontano perché l’attimo era molto più soddisfacente della fine.
Si staccò da me e mi afferrò, fui costretta ad aprire gli occhi mentre mi trascinava chissà dove. I miei piedi scalzi toccavano il pavimento con le punte, l’aria fredda cercava di entrare nel mio corpo ormai bollente ma io lo seguivo cosciente che qualsiasi posto sarebbe stato il paradiso.
Fece spazio sul bancone poi mi fece sedere su di esso.
Lo guardavo aspettando di sapere cosa sarebbe stato meglio dei nostri corpi che suonavano l’uno sull’altro.
Guardai le sue proporzioni nella penombra e forse per l’odore di frutta che mi arrivava, ma avevo fame, avevo fame di lui,
Mi morsi le labbra famelica mentre lui prese una bottiglia e la portò sopra al mio volto.
Inclinai la testa e tirai fuori la lingua aspettando che l’alcol cadesse proprio tra le mie labbra.
Bevvi e sputai la vodka che mi rigò tutto il corpo, lui pronto ne raccolse ogni goccia bevendomi ancora.
Mi fece scendere e girare, le sue mani ancorate sul mio seno ed il suo sesso sul mio senza pietà.
Mi tirava a se ed affondava in me cercando di arrivare sempre più a fondo alla ricerca della mia anima, senza sapere che l’avevo lasciata a casa.
Mi consumava e si consumava cercando di essere all’altezza di ogni mio gemito.
Afferrò i capelli e mi costrinse a guardare il buio della città che dorme mentre lui dietro di me mi teneva sveglia.
Un affondo e un altro ancora, mi perdevo ogni volta che usciva e ritrovavo me stessa ogni volta che attirandomi a se sentivo tutta la sua forza dentro.
I suoi versi si unirono ai miei finchè per un braccio non mi tirò di nuovo via, non alla ricerca di un nuovo piacere ma voglioso di donarmi il suo.
In ginocchio sotto di lui dischiusi le labbra e come con la bottiglia aspettai il suo liquido sulla mia lingua e come prima lo ritrovai su tutto il mio corpo.
Mi fece alzare con il suo peccato sulla pelle e finalmente con le sue dita dentro di me preparò l’ultimo drink della serata e dopo avermi portato nel culmine di un orgasmo mi accarezzò con le dita sporche di piacere ed io bevetti l’ultimo sorso prima di chiudere la serata.

Mancanza estiva

L’estate era ormai finita e dovevo ammettere che c’era qualcosa delle giornate in spiaggia a mancarmi terribilmente: gli sguardi sul mio fascinoso corpo esposto al sole e a tutti coloro che volevano ammirarlo.
La mancanza era così grande che avevo cominciato a mettere foto sempre più spinte di parti del mio corpo sul web.
I miei piedini smaltati di rosso sui miei sandali tacco dodici, la foto delle calze che finivano sulle cosce poco prima di vedere il mio sedere tondo, la mia scollatura sempre più accentuata a mostrare quei due meloni maturi. Tanti piccoli dettagli che non svelavano nulla di me, se non il mio crescente ego che aumentava ad ogni apprezzamento. Certo, non erano per niente paragonabili alle calde occhiate sul lettino che ricevevo silenziose: queste erano molto meglio. Erano dirette, a volte anche volgari, e dovevo ammettere che nonostante lo shock iniziale di leggere certe parole rivolte a me, avevano poi un lato decisamente intrigante che mi si rispecchiava nel corpo.
Un giorno, dopo aver sfogliato i vari commenti, cominciai a fantasticarci sopra durante una rilassante doccia.
Immaginavo questo uomo misterioso senza forma apparente mentre mi accarezzava il corpo, mentre percorreva le mie linee nude prendendomi senza remora alcuna.
Con gli occhi chiusi e la doccetta che mi scaldava il corpo già bollente, feci un passo avanti a scontrarmi con il freddo muro.
I miei seni schiacchiati sulle piastrelle mi fecero avvertire una sensazione unica di eccitazione.
“In fondo sei una puttanella” diceva la voce immaginaria della mia testa rifacendosi ad un commento.
“Te li strizzerei quei capezzoli fino a farti urlare di piacere.”
Cominciai ad ondeggiare sul muro come fosse un corpo pronto a darmi piacere ed estrassi persino la lingua alla ricerca del sapore di quell’uomo immaginario, leccando però solo il vapore sulla parete.
Ero in estasi e lo ero per nulla. Mi toccavo, mi pizzicavo, andavo a cercare un piacere che non potevo certo darmi da sola, mentre la doccia continuava a solleticarmi i capelli.
Affondai le dita sul mio sesso, sempre di più, sempre più a fondo, alternando le mie mani sul clitoride sfregandolo e stringendolo ossessivamente. Godevo, ma non abbastanza, piagnucolavo sapendo che nessuno dei miei sforzi avrebbe rimpiazzato la realtà dei commenti che mi bramavano.
Avevo bisogno di un uomo, delle sue mani ruvide, dell’invadermi del suo sesso in ogni buco che madre natura mi aveva fornito.
Con la voglia ancora sulla pelle uscii dalla mia doccia ed ancora con l’asciugamano solo a coprirmi ed i capelli che gocciavano fino al pavimento, esposi tutta la mia voglia ancora in circolo fotografando il mio labbro mordicchiato in maniera peccaminosa con sotto il mio corpo bagnato e seminudo.
Non tardarono certo i soliti commenti che questa volta mi colpirono direttamente.
-Ti strapperei quell’asciugamano da dosso e ti sbatterei lì davanti allo specchio così che tu possa vedere le smorfie del tuo piacere.-
-Già, peccato la distanza.- risposi già eccitata da quelle sole semplici parole.
Quando scoprii che quell’uomo abitava nei paraggi di casa mia, non ragionai più spinta dalla sola e impellente voglia di sentire quelle parole divenire realtà.
Gli diedi l’indirizzo di casa e lo aspettai esattamente com’ero. Non ebbi neanche tempo per razionalizzare che cosa avessi appena fatto, ero così tesa che non mi importava di altre futili cose.
Chissà che cosa sarebbe successo, chissà che cosa mi avrebbe fatto; queste domande continuavano a susseguirsi nella mia mente accompagnate dalle supposizioni che tenevano teso e bagnato il mio corpo nella sua attesa.
Quando suonò al campanello mi si fermò il cuore solo per qualche momento per poi riprendersi condito da tutta la perversione che mi portavo dietro.
Non mi feci fermare da nulla, nemmeno alla presenza di quell’uomo decisamente più grande di me.
Alla vista dei suoi capelli brizzolati e dei suoi occhi profondi, non riuscii a dire né pensare nulla se non connesso alla mia crescente lussuria.
Un uomo maturo avrebbe sicuramente trattato il mio corpo come meritava e questo accresceva la mia impazienza.
-Sei proprio come immaginavo, così giovane e così porca.-
Le sue parole come le sue mani arrivarono dritte al mio corpo e si convogliarono in voglia liquida che senza impedimenti mi inumidiva tra le gambe.
Lo guardai negli occhi e mordendomi il labbro mi accertai che il suo sguardo fosse sul mio volto per lasciar poi cadere l’asciugamano a terra e decretare con una sola mossa la mia resa.
Una sola occhiata mi percorse dalla testa ai piedi rendendomi così ancora più nuda.
-Lo sapevo che eri una puttanella e adesso sarai la mia.-
Mi cinse la vita e mi fece aderire al suo corpo che sebbene vestito mostrava già segni chiari della sua virilità.
Una sua mano scese poi sul mio sedere, stringendolo con le unghie, mentre l’altra armeggiava con la patta dei suoi pantaloni per liberare il suo grosso sesso.
Mi distaccai per guardarlo e nell’attimo in cui lo feci mi salì l’impellente voglia di assaggiarlo.
Come se mi avesse letto nel pensiero, mi mise una mano sulla spalla a farmi scendere ed io acconsentii maliziosa.
Mi avvicinai alla punta bagnata del suo membro sospirandoci sopra prima di farlo sparire tra le mie labbra.
Cominciai a giocare con la lingua muovendola sul glande, ma all’uomo brizzolato non bastavano i miei giochetti da ragazza e prendendomi per i capelli mi spinse a divorare sempre di più la sua asta facendola penetrare fino alla gola.
Quando riuscii a prendere aria, mi staccai da lui pronta a prendermi la mia dose di piacere.
Mi trascinai fino al divano e mi stesi languida sulla sua superficie di pelle.
Lui mi raggiunse lasciandosi dietro i vestiti ed arrivando da me completamente nudo.
Infilò una mano tra le mie gambe portando via un po’ del bagnato che da minuti continuava a palesarsi su di esse.
-Una puttanella vogliosa. Dimmi, quanta voglia hai di sentire il mio grosso cazzo fotterti?-
Ed ecco che le parole volgari di nuovo facevano breccia nel mio intimo fino a spingermi a rispondere.
-Tanto.- sussurrai a fior di labbra mentre lui già bramoso si spingeva alla mia entrata.
Rozzo.
Forte.
Virile.
Mi entrò dentro fino a toccarmi l’anima.
Spalancai gli occhi e la bocca per assecondare quell’improvvisa ondata di piacere che mi invase.
Dalle stesse labbra uscirono poi versi di goduria ad ogni suo movimento secco. Non riuscivo a trattenermi, non volevo farlo.
-Sentila come gode la troietta.- mi incitò spingendosi ancora oltre la mia pelle.

Il rumore dei nostri corpi che sbattevano l’uno sull’altro si alternavano ai miei lamenti guduriosi, incitandoli.
Più il suo bacino schiaffeggiava le mie cosce, più la mia voce urlava con tutto l’animo la lussuria che ne scaturiva.
Le sue dita possenti tenevano salda la mia pelle imprimendosi su di essa mentre cercava di tramutare l’ardore di mille parole in gesti.
Mi scopava, mi fotteva, mi possedeva come nessun ragazzo aveva mai fatto con il mio corpo.
Aveva tutto il vigore di un uomo passionale e tutta la resistenza di uno maturo, un’esperienza unica che stavo vivendo pienamente dentro di me.
Quando il suo climax salì, le gocce di sudore avevano sostituito quelle della doccia sulla mia pelle e il mio corpo era completamente devastato dall’amplesso tanto lungo quanto intenso.
-Ho voglia di sporcarti tutta.- disse rantolando un piacere che non vedeva l’ora di uscire.
-Fallo.- esclamai mentre con le mani stringevo sui miei seni l’attesa del suo seme caldo.
Uscì dal mio sesso e schiacciò il glande sul mio pube, lo sentii bollente ad annunciare i fiotti che altrettanto intensi mi avrebbero ricoperto il corpo.
Con quel calore improvviso sulla mia pelle, lui mi sorrise rivestendosi e guardando soddisfatto il suo lavoro.
Rimasi nuda sul divano, stesa ed esposta ai suoi occhi, ad essere ammirata ancora una volta.
Mi sentivo puttana, mi sentivo bellissima, mi sentivo pienamente soddisfatta e nella mia mente sentivo di aver trovato quel tassello vuoto lasciato dal mio esibizionismo estivo.

Pensandoti

Mi dicono che non sia peccato, pensare costantemente a te. Pensare di averti qui davanti e spogliarmi per te, lenta, molto lenta. Voler essere come una poesia della quale devi leggere e rileggere le righe per essere sicura di averla compresa. Agire piano, dandoti il tempo di capire, dandoti il tempo di pensare, di guardare i miei indumenti cadere, di comprendere l’arte della mia pelle nuda che pian piano si rivela a te.
Mi dicono sia peccato immaginare nella mia mente che le tue mani ormai guidate dai miei osceni pensieri vengano a posarsi sul mio corpo, che percorrano la via che le mie stanno facendo in questo momento. Prima sulle mie labbra per prendere la mia idea bagnata e portarla dritta sui capezzoli tesi facendo incessantemente cerchi attorno ad essi, poi di nuovo a ricaricarsi fin dentro la mia bocca e portando questa volta il pensiero verso le mie cosce che aprirei pronta alla tua scoperta. Mostrerei a te quello che io posso solo guardare attraverso lo specchio, le mie dita lente che affondano sul mio sesso, che si alternano con i miei gemiti.
Un affondo, un sospiro, un affondo. Detto io le regole, sempre.
E tra un immagine vivida e un pensiero, raccolgo di nuovo tra le dita il frutto della mia perversione assaggiandolo e pensando a te.

Dormi?

Dormi?
Rido.
Ne avresti tutte le ragioni.
Sarai stremata.
Sarai stanca.
Non ci siamo fermati per quanto? Ore? Non potevo fermarti, non volevo. Tu, io, e poi tu, e poi insieme. Non ricordo più chi dava piacere a chi, so solo che non mi bastava mai, tu non mi bastavi mai.
Non lo dico per gli affondi che secchi e innumerevoli arrivavano dentro di te, ma per ogni tuo ansimo che ogni volta amplificava il mio piacere. Eri meravigliosa. Sei meravigliosa.
Ti ho vista da ogni angolazione, con la luce della sera, con la notte fonda fino ad ora che il sole albeggiasse.
Ho visto il tuo culo sbattere sui miei fianchi, la mia pelle strisciare sulla tua, il tuo seno ondeggiare al ritmo delle mie spinte.
Ti ho vista affamata e bramosa di raggiungere quel punto chiamato orgasmo, e poi una volta trovato hai cercato il prossimo senza un attimo di esitazione.
Se dormi fai bene, sarai sfinita, ne hai davvero tutte le ragioni.
Vorrei mettermi lì vicino, baciare la tua pelle nuda, ma poi avrei ancora voglia di te, penso che avrò sempre voglia di te.
Meglio che ti prepari un caffè, poi magari te lo porto qui, poi magari lo lasciamo raffreddare sul comodino mentre ci scaldiamo, ma fammelo preparare così tu dormi, cosi tu riposi, così poi possiamo pensare a svegliarci davvero.

Lara © 2018

Tre

Doccia, acqua che scorre e idee che si smettono di inseguirsi nella sua testa.
Aveva bisogno di pace e di solito l’avrebbe trovata in una tazza di thè, in un buon libro o in una passeggiata lungo lago, ma non era a casa sua e nulla di questo le era fattibile.
Quindi si era alzata dal letto fin troppo affollato ed era andata dritta in bagno per poi lasciarsi coccolare dal leggero tepore della doccia.
Giulia era così, semplice in ogni cosa che faceva, proprio per questo la sua mente quella mattina era ring di uno scontro epico, perché quello che aveva appena lasciato nel letto era tutto fuorché semplice.
Lei, lui, l’altra.
Mettiamoci anche che per lui c’erano sentimenti e l’altra era la cosa più vicina ad un’amica che avesse da secoli.
Aveva complicato tutto o tutto aveva consolidato ancora di più il loro legame?
Che fossero stati uniti letteralmente era cosa più che veritiera, e lo erano stati anche per un bel pezzo.
Quel letto stava ancora in piedi, ma non sapeva se avrebbe retto ad un’altra performance.
Di contorno solo birra, di effetti, molti più di quanto una semplice birra possa darne.
Avevano bisogno di una spinta per esplorare le loro voglie e quella era stata perfetta, lo era stata dal brindisi che avevano fatto facendo suonare le bottiglie tra di loro. “Fanculo gli altri” avevano detto in coro, e infatti nessun altro era stato partecipe delle loro vicende notturne.
Solo loro, per qualcuno anche troppi, per altri anche pochi, per loro, perfetti.
Si era tuffata prima l’altra, Sara, con la scusa che la sua testa neanche una birra sapeva reggere.
Si era gettata a peso morto su quello che era poi il suo letto, aspettando invano l’aiuto dei suoi amici.
Giulia si era messa a ridere e Mirco, Mirco invece si era avvicinato al corpo dell’amica per farle una respirazione bocca a bocca e rianimarla dal suo finto sonno.
Nulla.
Sara rideva ma era rimasta ferma ed immobile nella sua posizione.
Così ci provò anche Giulia, così, per gioco, così, per scherzo, così, che dopo aver rianimato le sue labbra improvvisamente tutto di lei si era svegliato. La lingua nella sua bocca le mani a non scostare il suo viso da quello della bella addormentata, e le sue gambe che si aggrappavano alla vita portandola a schiacciare le sue forme femminili su quelle dell’altra ragazza.
Il bacio durò interminabili secondi, soprattutto per Mirco che non sapeva dove intervenire, sapeva solo di farlo.
Aggiunse le mani sui loro corpi, una per uno, una per gamba, una per coscia, una sul sedere, una sulle spalle e una sui loro seni che schiacciati insieme formavano una enorme scultura al quale non poteva sottrarsi il tocco.
La carezza non svegliò le due dal loro incantesimo, anzi, le accese ancora di più inglobando anche il ragazzo nei perversi pensieri che si stavano accendendo.
I visi si inclinarono e le lingue uscirono fuori dalle bocche, lasciando spazio a quella di Mirco di aggiungersi al concerto.
Non seguivano un copione, solo l’istinto.
I vestiti a terra sembravano quasi esserci andati da soli, per protesta, per il caldo che i tre animi focosi scaturivano l’uno sull’altro.
Mani che spogliavano, che strappavano, che tiravano.
Erano come la dea Kalì, tante braccia, una sola mente.
Non stavano guardando chi toccava chi, di chi erano le mani più caste che palpavano i seni e di chi quelle più audaci che scrutavano tra le mutandine, l’importante è che tutti più o meno efficacemente stavano accendendo la voglia degli altri, tutti e tre erano pronti a partire per quel viaggio che stavano preparando.
Mirco decise che era suo il dovere di dirigere la perversa idea e lo fece staccandosi dall’operazione. Lasciò che le mani delle ragazze, le loro bocche, i loro corpi vivessero la sua assenza, riposizionandosi le une sulle altre.
Guardò con una certa voglia le due donne amoreggiare tra di loro come se si volesse fermare a quel saffico quadro e restarne in disparte godendo solo della loro vista.
Ma non era sua intenzione ammirare l’opera di altri, voleva esserne protagonista e creatore.
Si mise alle spalle di Giulia che a cavalcioni su Sara non smetteva di divorarle le labbra, e la spinse giù, la accompagnò stesa sul corpo dell’amica e come quando sposti una persona addormentata, come ella continua a dormire le due ragazze continuarono a fare l’amore.
Molto meno delicato plasmò i due corpi in modo da avere i loro sessi bene in vista e dopo aver preso bene le misure cominciò a mettere in pratica la sua folle idea.
Fece scorrere il suo membro tra le labbra infuocate della ragazza stesa e facilitato dalla posizione le entrò dentro sbattendo contro il corpo di Giulia che l’attimo dopo aver capito che cosa stesse succedendo, reclamava la sua parte.
Si era abbassata allargando le cosce quasi in una spaccata, come se avvicinandosi al cazzo in movimento per sbaglio potesse entrare in lei. Mirco la accontentò giocando nel suo sesso con le dita, placò per qualche secondo la sua fame di altro, giocando e torcendo le sue estremità aspettando di poterle sostituire al momento giusto.
Tra un affondo di cazzo ed uno di mano i corpi delle due ragazze si muovevano in un ritmo asincronico sfregando i loro gemiti, i loro seni, le loro voglie che venivano esternate senza pudore davanti ai rispettivi occhi.
Si sentivano eccitanti perché vedevano l’altra eccitarsi e in tutto questo la voglia saliva toccata dall’abile burattinaio che le animava da dietro.
Quando toccò a Giulia sentire la prorompente asta dentro di sè, non servì che le dita del ragazzo facessero peripezie per non far scemare la sua eccitazione, ci pensò ella stessa a dare il contentino all’amica portando la mano tra i due sessi e sfiorando smaniosamente i due clitoridi.
Fu da lì che a Giulia venne l’idea, quando Mirco fu quasi all’apice e si sottrasse anche da lei, non perse un secondo e guidò la sua amica a seguirla.
Le disse di mettersi stesa ed aprire le gambe e lei fece la stessa cosa posizionandosi dall’altra parte e incastrando le sue cosce con quelle di Sara.
Quando i due sessi proprio come uno specchio furono uno a contatto con l’altro, non fu difficile agli altri capire l’idea peccaminosa della loro amica. Come se fosse la cosa più naturale del mondo le sue ragazza cominciarono a muoversi sfregando i due sessi e lasciando che le loro labbra si baciassero scambiandosi scie di passione.
Mirco stava cercando di trattenere il suo piacere il più possibile, di fronte a quella meraviglia, stava cercando di posticipare il suo orgasmo stringendo il suo cazzo tra le mani con movimenti lenti, quasi inesistenti.
Godeva nel vederle godere, godeva nel vederle insieme, godeva al pensiero che tra poco sarebbero state sporche del suo seme.
Ed ecco che quando le mani delle ragazze si misero a sfiorarsi per accompagnarsi all’esplosione, anche lui riprese a menarsi e mirando bene sui due corpi, venne rilasciando spruzzi del suo seme ovunque, dai volti ai seni al fulcro di tutto che erano i loro sessi che continuavano a muoversi insieme.
Erano uno spettacolo raro, forse l’unico che avrebbero messo in scena.
Si erano addormentati così, poche battute dopo, l’uno sull’altro, abbracciati ancora una volta come se fossero una sola mente ed un solo corpo.
Solo l’alba li aveva separati, solo quella aveva spinto Giulia a cercare un po’ di pace visto che non poteva avere le risposte.
L’acqua le scorreva nel corpo e lei sentiva il desiderio di avere ancora un attimo con loro, non per forza dipinto dal peccato, agoniava solo di ritrovare nei loro occhi quella amicizia che c’era solo qualche ora prima.
Occhi chiusi e acqua che le scorre sul volto.
Poi la cabina si apre e due mani la abbracciano da dietro senza lasciarla.
Sente i seni premerle sulla schiena e la bocca baciarle la spalla.
Apre gli occhi e lui è li davanti che bagnandosi con lei si appresta a possederle le labbra.

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Dolce tortura

Era sul tavolo, nuda, bendata. Aspettava il tocco della mia mano cercando di captare quando sarebbe arrivato. Volevo giocare con lei, volevo divertirmi, volevo appropriarmi delle sue sensazioni e ci sarei riuscita.
Stesa sul freddo legno con il suo sesso esposto ai miei occhi, al tocco rude della mia mano guantata.

Quanto la faceva soffrire l’idea che non potesse neanche sentire il calore della mia pelle.

Solo il mio tocco, solo la sua voglia che dipingeva la pelle nera delle mie mani.

Filamenti di piacere misto alla tortura, i suoi capezzoli ormai massacrati dalle bacchette che più volte avevo fatto roteare strizzandoli finchè il dolore si era manifestato sotto forma di lacrime negli occhi e di perlacee gocce tra le sue labbra.

Le aveva ancora lì, presenti sui suoi seni, incerte se essere ancora protagoniste o lasciate al loro stringere ormai delicato.

Avevo preso del ghiaccio, faceva troppo caldo sia per me che per lei.

Il cubetto bagnava le mie dita ed io bagnavo le sue labbra come primo contatto.

Glie lo porsi come un rossetto, lasciando che la sua bocca prendesse quel colorito rosso che adoravo, poi mi avventai sulla sua succosa bocca e morsi un labbro tirandolo via.

Fece un gemito, un piccolo grido, mentre il mio cubetto continuava a sciogliersi alla velocità della luce sul suo corpo bollente.

Le gocce cadevano ai lati del suo corpo e continuarono a rigarlo anche quando appoggiai il ghiaccio sui capezzoli che, piccoli e completamente schiacciati, spuntavano tra le bacchette.

Presi un altro ghiaccio e un altro ancora fino ad arrivare a giocare con il suo sesso.

Lo passai sulle labbra come avevo fatto con quelle della sua bocca e proprio come con quelle poi ci tuffai i miei denti e ne morsi uno.

Si contorceva dalla voglia di piacere, dalla voglia di portarlo all’apice, in qualsiasi modo.

Svuotai dal contenitore tutti i ghiaccioli rimasti, li contai, erano sei.

Cominciai a giocare con i suoi due buchini, li bagnai come avevo fatto con il resto del corpo, mi misi comoda, seduta, per guardarli meglio e poi feci la conta tra i due ad alta voce rendendola ancora più confusa su cosa stessi per fare.

Il primo toccò al suo sesso.

Spinsi il ghiacciolo su con l’aiuto di un paio di dita.

Spalancò la bocca sentendo quella gelida intrusione dentro di sé.

Di nuovo il secondo le tenne compagnia sbattendo con il primo e spingendolo più su.

Il terzo mi diede la soddisfazione di essere infilato dietro, ben più resistente e divertente.

Poi sistemai velocemente gli altri tra il primo e il secondo.

Appoggiai il volto sulla mia mano ed attesi che l’acqua colasse fuori fino ai miei occhi.

Aspettai che anche l’ultimo ghiacciolo si fosse sciolto prima di farla godere davvero come si era meritata.

Lara © 2018

 

Lei.

Ma che cosa c’è di strano ancora lo devo capire.
Siamo due donne, due con la D maiuscola, due donne forti e fragili, due donne uguali. È forse sconvolgente che abbiano deciso di fare un percorso insieme?
Se ho scoperto nelle sue dolci labbra il sapore di proibito che emanano le mie, nelle sue carezze quel tocco gentile ma pungente che sa trattare il mio corpo come merita.
È un problema se proprio una persona che da anni gioca in solitudine con le sue forme abbia deciso di raddoppiare il piacere ed i segreti condividendoli con me?
Non dico di amarla, sarebbe troppo riduttivo. Ma io mi amo quando sono con lei, quando la sua bocca scende assaporando ogni punto che mi fa impazzire, mi morde, mi lecca, ride, soprattutto amo sentirla ridere su di me, perché mi ricorda che non c’è niente di serio se non il piacere reciproco che ci stiamo dando.
Non dico neanche di provare sentimenti, ma sicuramente non posso negare i brividi che lei scaturisce in me quando come una gattina affamata si getta tra le mie cosce porgendomi le sue.
Quando le sue dita tentatrici, tirano fuori dalla mia intimità ansimi di gudurioso piacere. Possiamo stare ore a nutrirci dei nostri corpi e del nostro piacere.
E tutto questo solo noi, tutto questo prima di ricorrere a giochini perversi che ci portano a ben altri livelli.
Tutto questo solo con l’uso dei nostri corpi, perché quando poi il ritmo cambia, non c’è più dolcezza, c’è solo peccato, i sospiri cambiano in gridi e lei non è più il mio angelo ma il mio diavolo tentatore che mi porta ad esplorare cose mai viste, cose che posso fare solo con lei.
Siamo due anime perverse, non l’ho mai negato, quindi perché è strano che due cose così affini stiano insieme?

Lara © 2018

Scommessa

Una scommessa. Sapeva che con me le scommesse non le doveva fare perchè poi io le colgo, soprattutto se sembrano così stupide da sembrare che siano uscite da un film o da un libro. Aveva scommesso, lo aveva fatto perché pensava che il ragazzo al quale stavo dando attenzioni da tutta la cena fosse solo un modo per farlo ingelosire perché ero ancora cotta di lui.
Quanto si sbagliava. I suoi amici avevano cercato di farglielo capire, io, io ero sempre stata diversa, pazza e lui non sapeva controllarmi.

-Scrivigli il tuo numero se pensi davvero che abbia un bel culo.- aveva detto.
Ma il ragazzo con il quale scambiavo occhiate e donavo complimenti alle sue spalle, non aveva solo un bel culo, era tutto bello, davvero mozzafiato.
Quando poi aveva capito che forse lo avrei fatto però aveva ricontrattato -Se lo fai però non tornare da me.-
Forse non l’ha mai saputo che è stata proprio quella seconda frase a farmi prendere il coraggio. Era troppo stupido per me, ed io ero troppo per lui, sembravo egocentrica ma con il senno di poi, avevo ragione.
Ci siamo alzati tutti dal tavolo del pub ed io avevo sfornato la penna, ansiosa ed indecisa se farlo o meno.
-Ciao, scusa, ma, volevo lasciarti il mio numero.- avevo detto affiancandomi al suo tavolo e scrivendo nel mentre il mio numero sulla tovaglietta. -Libero di farci quello che vuoi.- finii raggiungendo gli altri. Avevo lanciato la mia palla, ora sarebbe stato a lui se prenderla o no.
Ovviamente inutile dire che lui l’aveva colta.
“Non mi hai detto il tuo nome.” fu il primo messaggio.
Gli risposi e lui mi disse il suo, peccato che non lo ricordi più, forse Marco.
Il giorno seguente dopo diversi messaggi mi passò a prendere, Marco. Era la mia pausa pranzo, non avevo mangiato niente, non avrei mangiato niente.
Salimmo nel suo ufficio, era più grande di me che ero una ex studentessa da qualche mese, forse era questo che mi affascinava.
Un ufficio, tutti fuori, noi chiusi in una stanzina.
Mi sbattè con culo sulla scrivania e mentre incollava le sue labbra sulle mie le sue mani salivano le mie cosce cercando di liberarle dai jeans.
Mi ero lasciata andare, sapevo che sarebbe stata la cosiddetta botta e via e volevo cercare di godermela il più possibile.
Calò i pantaloni fino alle caviglie ed infilò prepotente una mano tra le mie cosce. Probabilmente ero bagnata, non per quello che stavo facendo, ma perché lui era davvero un gran figo e smaniavo per essere scopata da lui.
Si spogliò poco dopo, forse per farmi vedere di essere all’altezza.
Io neanche lo guardai per non farmi condizionare dalle dimenzioni.
Mi invitò poi a scendere e buttando qualcosa a terra a stendermi lì.
A quel punto risi, lo so che è poco erotico ma risi, risi dentro di me, risi tanto.
Solo finchè non mi montò addosso e mi resi conto di tutto lo scenario. Sapevo sì e no il suo nome, chi era e cosa faceva, eppure ci stavo scopando, non benissimo ma ci stavo scopando.
Lo sentivo dentro di me e mi sentivo rinascere ad ogni affondo. Stavo bene. Mi sentivo viva. Mi sentivo una figa stratosferica.
Accompagnai ogni suo affondo con un verso di goduria sulla mia bocca che lui tappò all’istante con la sua.
Ridevamo, e godevamo l’uno sull’altro lasciando lì per terra le nostre voglie che non erano tanto per noi, ma per quello che stavamo facendo.
Affondi su affondi, mentre la mia schiena strisciava sul pavimento.
Era davvero strano come tra noi ci fosse quel bellissimo atto senza un minimo di chimica.
Le sue mani accanto alle mie spalle per aiutarsi a spingere sempre più in fondo alle mie gambe aperte.
Finchè i suoi versi non si tramutarono in qualcos’altro che esplose dentro di me, più o meno.
Uscì e mi mostrò quanto piacere gli avevo dato, come se io potessi esserne lusingata.
Poi un rumore in ufficio e lui che mi intima con gli occhi di rivestirmi.
Lo faccio, mi sistemo e lui fai velocemente lo stesso.
Aprì la porta dell’ufficio e prendendomi per mano mi portò via.
Attraversammo tante persone, salutava, io tenevo la testa bassa, mi sentivo una troietta per tutto quello che sicuramente loro avevano pensato di me, ma allo stesso tempo godevo del fatto che lo pensassero, che accendessi nelle loro menti le più sporche perversioni.
E quando salii in macchina, ero più eccitata di prima.

Lara © 2018